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Ci siano consentite quindi anche alcune brevi osservazioni generali, sulla governance del PNRR:
a) è sembrato crearsi talvolta un collo di bottiglia amministrativo, laddove l’attuazione del PNRR e la sua ricaduta concreta sul territorio, sugli ambiti territoriali e sulle imprese, è ostacolata dalle difficoltà burocratiche, e in ultima analisi dall’effettiva capacità di spesa della nostra amministrazione. Questa si affianca, non si può negare, ed è emerso anche dall’assessment condotto dal Governo, ad una capacità a volte limitata dell’imprenditoria di raccogliere la sfida e rispondere alla domanda, specialmente quando si tratti di interventi tecnologicamente sofisticati e davvero innovativi: lo rileviamo, perché, come abbiamo detto nel nostro ultimo incontro presso Palazzo Chigi, non pensiamo in termini di privato “virtuoso” contrapposto a settore pubblico necessariamente inefficiente, ma vogliamo ragionare in termini di sistema-Paese dove ogni elemento si rispetti e collabori. Comunque, per quanto lo snellimento burocratico e la semplificazione amministrativa siano elementi trasversali e finalità dichiarate del PNRR, proprio qui si rileva un elemento potenzialmente paradossale: appare quindi necessario vigilare sull’efficienza ed efficacia dei centri di spesa, e far sì che il controllo, oltre che sulle “pietre miliari” dei traguardi e obiettivi, talvolta dichiarati ma non misurati, avvenga sui flussi di spesa, sulla loro continuità e tempestività; inoltre, occorre un sistema di rilevazione dell’impatto delle misure a posteriori dell’intervento, aspetto su cui ci pare che si sia poco riflettuto.
b) il problema della ricaduta dall’alto verso il basso delle strategie messe in opera: a livello locale, non sembra essere avvenuta la medesima maturazione che si è vista a livello europeo e
nazionale, e il PNRR sembra essere inteso, in certe sedi, come un semplice meccanismo di finanziamento dall’alto, senza capacità di visione strategica. E’ stato autorevolmente rilevato come la fragilità a livello locale abbia spinto a grandi disegni generali, meno utili e meno sostenibili a livello sociale e ambientale di interventi più mirati e selettivi. La strategia del PNRR tende a essere top-down, cioè a far discendere gli interventi dall’alto al basso verticalmente. Il passaggio dall’indirizzo “macro” all’attuazione attenta e particolareggiata non è scontato, e non ci pare sempre sufficientemente definito. Riteniamo che esista un problema di ordine partecipativo: rappresentare le istanze locali. Tavoli a livello regionale, a volte già nati per impulso di singoli amministratori, potrebbero rivelarsi utili: tavoli dove sia più presente la partecipazione delle parti sociali e quindi la voce delle aziende. Anche una maggiore presenza, o meglio una nuova presenza, di consulenti ed esperti del mondo imprenditoriale che collaborino a livello locale con una struttura amministrativa spesso sottodimensionata potrebbe essere opportuna.
c) le priorità: non si tratta qui ovviamente di fare nuove proposte di intervento. Però ci permettiamo di evidenziare un aspetto che riguarda tanto l’agricoltura quanto ogni altro settore produttivo in maniera trasversale: l’aumento di valore del capitale umano che richiede che le Regioni migliorino la formazione continua al lavoro attraverso un maggior impiego delle nuove tecnologie e di laboratori di sperimentazione, anche così affrontando in modo costruttivo la polemica sull’occupabilità dei percettori di Reddito di cittadinanza; – la sensibilizzazione a un approccio culturale che avvicini lavoratori e imprese su valori e interessi comuni, impiegando meglio l’alternanza scuola-lavoro, e le agenzie per il lavoro specializzate nella ricerca e selezione del personale.
Crediamo quindi nell’importanza di aumentare quantità ma anche qualità dell’occupazione in termini di
sicurezza, salari, qualità. All’attivazione di migliori politiche attive del lavoro, nel cui ambito UNSIC
sottolinea l’opportunità di una migliore attivazione delle agenzie private, in complementarietà con i Centri
pubblici; il coinvolgimento di quelle strutture, enti bilaterali, fondi interprofessionali, centri di assistenza
agricola, che sostengono assieme aziende e cittadini, e che possono partecipare, come stakeholder, alla
definizione degli obiettivi e all’attuazione degli interventi;
d) infine, rileviamo l’urgenza della riforma trasversale prevista dal PNRR, quella dell’amministrazione, sopra accennata, e soprattutto quella della Giustizia e della sua macchina, con la riduzione dei tempi delle procedure e dei processi, in una situazione come quella attuale che costituisce oggi un elemento grave di incertezza per l’attività, e non di certezza del diritto.

In modo più specifico sui temi dell’agricoltura e del REPowerEU:

1) maggiori energie possono e debbono essere orientate all’autoproduzione in ambito agricolo di energia elettrica e al riciclo dei materiali di scarto della produzione, pensando alle nuove aziende agricole multifunzionali; nel documento allegato alla sua lettera, soltanto una volta compare la parola “biomasse”, e legata a un contesto di aree montane e rurali che pare leggere il tema come marginale, mentre l’impiego delle biomasse, nei loro diversi aspetti, dovrebbe essere meglio e più convintamente incentivato. Non ci sfugge che peraltro il tema “biogas” viene adeguatamente menzionato ed è protagonista di un apposito paragrafo (M2C2.1.4), ma il tema biogas non è da solo esaustivo, menzioniamo qui soltanto l’estensione della filiera del legno, in un quadro storico di ampiamento delle superfici boschive utilizzabili;

2) il tema delle aree interne, montane o comunque marginali, è stato peraltro sollevato nel corso del nostro recente incontro: portare il PNRR nelle aree interne, attraverso un coordinamento con la Strategia Nazionale per le aree interne che eviti duplicazioni e sovrapposizioni, appare una sfida importante. Quella di creare le “esternalità positive” che permettano alle persone, prima ancora che alle aziende, di vivere bene nei tanti territori cosiddetti marginali, creando un quadro generale di infrastrutture e servizi che migliori tutta la qualità della vita, non solo occupazione e produzione. Infatti, in una fase dove assistiamo a un processo di lungo periodo di abbandono delle aree interne per rivolgersi alle aree metropolitane, non possiamo che individuare nella mancanza di sicurezza e di servizi una problematica che coinvolge in primo luogo i giovani, sia quando devono pianificare una nuova attività economica, sia quando devono decidere dove abitare, magari dove mettere su famiglia. Le aree interne possono diventare una valvola di sfogo importante per questo vecchio e ora nuovo turismo di villeggiatura a corto raggio, di ritorno alle radici e ai paesi, non consumistico, non di “movida”. Si tratta anche di esaltare la dimensione sociale dell’agricoltura, l’agriturismo, il recupero di coltivazioni di nicchia rare e pregiate, anche in ottica della tutela della biodiversità, che è pure una priorità dell’agenda ambientale del PNRR che va incrociata con l’agenda agricola;

3) rileviamo quindi con soddisfazione l’intervento per la chiusura degli insediamenti abusivi, che non sono soltanto una culla per il caporalato, ma costituiscono un problema generale di immagine e di credibilità per ogni imprenditore agricolo socialmente responsabile. Appare opportuno, secondo quanto indicato più sopra in questo documento, coinvolgere a livello locale imprenditori agricoli e realtà associative del Terzo Settore: oltre alla costruzione di alloggi decenti, occorre inserire l’intervento M5C2-16 in un più ampio quadro di politiche di integrazione sociale e di controllo del territorio e di accesso ai servizi nelle aree agricole;

4) sul piano del territorio, non possono che preoccuparci le notizie di stampa sulla riduzione degli interventi per il dissesto idrogeologico. Se, come ci risulta, il Governo intende bilanciare con altre risorse questa riduzione, occorre, a nostro avviso, che questo sia comunicato con efficacia all’opinione pubblica.

In (provvisoria) conclusione: sono definitivamente i tempi in cui l’agricoltura era percepita come un settore tradizionale dell’economia, a metà tra memorie del passato, folclore, persino arretratezza. Anzi, in un tempo in cui noi assistiamo all’obsolescenza rapidissima di molte tecnologie, e alla riduzione di certi impianti in archeologia industriale, vediamo anche tutta la modernità, la necessità dell’agricoltura. E’ l’agricoltura a giocare un ruolo crescente nelle politiche di difesa del clima contro il riscaldamento globale, è l’agricoltura ad essere tornata un settore strategico, adesso che si ripropone il tema della sicurezza alimentare, sicurezza sia in termini di tutela della salute, sia in termini di garanzia di riserve e scorte che non siamo più sicuri che potremmo garantire approvvigionandoci sul mercato internazionale. Per questo ruolo strategico dell’agricoltura, appare indispensabile l’intervento pubblico in rapporto con gli imprenditori e le filiere di mercato: le politiche pubbliche per l’agricoltura, italiane ed europee, devono
diventare sempre più trasparenti e comprensibili al grande pubblico, in nome dei valori di democrazia e di partecipazione.

 

Luca Cefisi